ARTE

lunedì 9 novembre 2015

Storia del ghetto di Padova STORIA E CURIOSITA’ DEL GHETTO DI PADOVA
A sud della Piazza delle Erbe si snoda un labirinto di strade strette che formano il Ghetto ebraico, operante dal 1603 e abolito nel 1797, anno in cui, Napoleone dichiarò gli ebrei liberi e uguali. E’ dal secolo XII che i primi ebrei iniziano ad insediarsi a Padova ma è dopo la metà del ‘300 che la comunità cresce e si sviluppa, grazie anche alla nascita dell’Università che, a differenza di tutte le altre in Italia ed in Europa, ha sempre accettato studenti di ogni religione, inclusa quella ebraica. In epoca comunale e carrarese poi, lo sviluppo dei commerci richiama in città molti prestatori di denaro e venditori di oggetti di seconda mano, facendo così diventare Padova punto di incontro di diversa provenienza e cultura. Gli insediamenti ebbero inizio nella zona di S.Leonardo (lungo il Bacchiglione, nei pressi di via Savonarola) ben presto però divennero insufficienti e poco pratici, data la lontananza sia dalla zona dei commerci di Piazza delle Erbe, che dall’Università. Si crearono così tre raggruppamenti:gli italiani nella zona di Porta Altinate, i tedeschi e gli spagnoli nella zona di S.Canziano. Dopo la guerra della Lega di Cambrai contro la Repubblica Veneta e i conseguenti assedi di Padova che si protrassero dal 1509 al 1513 anche la comunità italiana si trasferisce nella zona a ridosso di Piazza delle Erbe in quello che diverrà poi il Ghetto di Padova e lì vengono confinati. Nel ‘600 quasi tutti gli ebrei d’Italia sono ormai rinchiusi nei Ghetti. Il Ghetto, “Loco stabile et separato, deputato agli ebrei; ne’ alcun cristiano in quello possi star, overo tegnir bottega”, come diceva un avviso del 1603, era chiuso di notte da quattro porte sorvegliate ciascuna da un ebreo e da un cristiano, pagati dalla comunità ebraica: quella settentrionale in via delle Piazze, poco a sud di S.Canziano; quella orientale, la Porta di S.Giuliana, fatta costruire dal Podestà e dal Gran Consiglio, in via S. Martino e Solferino un tempo via Sirena, vicino allo sbocca in via Roma; quella occidentale nella stessa strada prima dell’incrocio con via dei Fabbri; quella meridionale in via dell’Arco dove confluisce con via Marsala. Queste porte impedivano l’uscita degli ebrei dopo le due di notte; nel 1797 furono abbattute e gli ebrei vennero chiamati a far parte della municipalità. I Ghetti italiani sono formati o da un grande cortile rettangolare, lungo il quale sono allineate le case, con i negozi e le abitazioni intercomunicanti il tipico chatzér, ossia cortile; oppure da una via o una piazza centrale nella quale sboccano viuzze laterali secondarie, o da un complesso di stradine formanti un piccolo quartiere nel centro (come nel caso di Padova); oppure anche, i più piccoli, da una sola contrada coi due portoni agli sbocchi. Nessun ebreo può abitare fuori dal Ghetto, ne’ uscirne senza il “segno giudaico” (rotella gialla o bianca e rossa, o cappello giallo, o con nastri gialli o velo giallo). Soltanto la Repubblica Veneta permetteva agli ebrei di passaggio di girare per tre giorni senza alcun segno distintivo. Nel ‘600 nel Ghetto vi erano ben 63 frequentatissime botteghe in cui si vendeva di tutto. Gli ebrei esercitavano però soprattutto l’arte della “strazzaria”, il piccolo commercio di cose usate. Molti si dedicarono all’industria degli argentieri da loro iniziata e portata a grande sviluppo, fino al 1777 quando la Repubblica Veneta permise di esercitare il solo mestiere della “strazzaria”. Visto che non erano ammessi presso le Corporazioni di Arti e Mestieri, praticavano il prestito del denaro, attività vietata ai cristiani e che garantì a molti prestatori il diritto di residenza grazie all’intercessione dei Signori feudali che avevano sempre la necessità di procurarsi rapidamente denaro per mantenere le proprie milizie. Ai loro “banchi” ricorrevano studenti e professori per prestiti e pegni. Dato che agli ebrei era vietato risiedere altrove, come a Venezia, le case del quartiere, eterogenee e spesso ricche di elementi di recupero, si sono sviluppate in altezza e , nonostante le trasformazioni e i rifacimenti, conservano ancora l’impianto romanico. In passato costituiva l’animato centro sociale e religioso del quartiere: qui vi si potevano acquistare gli azzimi e la carne preparata secondo i rigidi precetti ebraici. In via delle Piazze, sorge la prima grande sinagoga di rito tedesco che fu inaugurata nel 1525 e che nel 1943 una squadra di fascisti la incendiò. Il suo restauro è stato ultimato nel 1998. In via San Martino e Solferino al civ. 13 , subito dopo l’incrocio con via delle piazze si trova la sinagoga di rito italiano,di fronte ad essa, un po’ a sinistra e in alto al terzo piano, si può vedere un loggiato con sei colonnine bianche. Li c’era la sinagoga di rito spagnolo. Nella fine dell’Ottocento i tre riti furono riuniti nella grande sinagoga tedesca, dove si praticò il solo rito italiano. Alla fine della seconda guerra mondiale fu riaperta al rito la sinagoga italiana. Nel corso del 1800 il Ghetto entrò a pieno diritto nella vita cittadina e soprattutto in quella degli studenti. Arnaldo Fusinato ricorda l’origine del modo di dire “restare in bolletta”: gli studenti senza soldi vendevano il loro mantello nel Ghetto, in cambio del quale ricevevano una carta bollata (bolletta). La bellezza del Ghetto sta nelle sue vie anguste, nelle suggestive facciate di alcuni palazzetti, nelle altissime abitazioni, nelle piccole botteghe di antichissima tradizione, che si sono diffuse anche nelle vie circostanti dopo la soppressione del Ghetto. Oggi in questa suggestiva zona si concentrano molte attività commerciali caratteristiche. Fonti:www.padovanet.it Per approfondimenti: itinerario del Ghetto (www.inghetto.it)

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